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Emilian 19 Mar

Emilian

Caro angelo,

 

buongiorno! Mi chiamo Emilian, ho tredici anni, faccio la seconda media e sono in questa famiglia, in questo Centro, da cinque mesi.

Abitavo in campagna, ma aspetta, caro angioletto, mi sono fermato e ho pensato: “Sto parlando a un angelo?”. Posso chiederti una cosa? Come stanno i miei nonni? Aspetterò una risposta, ma molto probabilmente arriverà nel mio cuore.

Ti dicevo che abitavo in campagna, ma i miei nonni si sono spenti. Siamo stati cresciuti da loro da quando eravamo piccoli, neanche mi ricordo da quando, da sempre; quel posto è stata la mia casa, non credo di averne avuta un’altra.

Aiutavo sempre il nonno nei lavori dei campi, nell’orto e con gli animali, che erano nostri e che ci facevano mangiare. Avevamo una casa piccola con due camere di cui una tutta mia, avevo una tv e tante foto attorno a me, che mi piaceva tenere in una vetrinetta.

La mamma era sempre al lavoro all’estero, la vedevo raramente e non mi sono affezionato a lei, anche se lei non desiderava questo. I nonni erano tutto per noi. Il papà non l’ho conosciuto, ma per me il nonno era il mio vero papà, così l’ho sempre considerato. La povertà e le disgrazie li hanno messi subito sotto terra, e dopo la loro morte, all’inizio del 2017, per noi è stato molto molto difficile, praticamente mangiavamo grazie ai vicini.

Non lo dimenticherò mai: mio nonno è morto tra le mie braccia. La mamma era tornata dall’estero, il nonno era triste perché non ci portava mai niente. Hanno litigato in maniera molto forte, il nonno ha detto alla mamma di cercarsi un lavoro, di diventare responsabile, di fare qualcosa per noi. La mamma gli ha detto delle parole pesanti, piene di odio e il nonno ha avuto un infarto. È morto tra le mie braccia. Lo tenevo talmente stretto, non volevo lasciarlo, sentivo che lo stavo perdendo. E così poi è stato! In pochi istanti Dio l’ha preso con sé. La nonna si è spenta tre mesi dopo, e a causa della preoccupazione per noi, della povertà e delle difficoltà si è ammalata di cancro, per cui si prendeva cura di noi con molta difficoltà. Con me non era un problema, ero il suo sostegno, ma le mie due sorelle di sei e undici anni erano più piccole.

Non avevamo più nessuno disposto a prendersi cura di noi, ci lavavamo i vestiti da soli, a casa facevamo tutto da soli ,ma ci era molto difficile e aspettavamo tutti i giorni che qualcuno ci portasse da mangiare. I vicini hanno messo in allerta il Tribunale dei minori e ci hanno tolto dalla nonna, che si è spenta dopo un mese.

È stato un giorno difficile per me, tutto ruotava attorno a noi e alla domanda: “Che cosa ci succederà?”. Rimanevamo solo io e i miei fratelli. Siamo arrivati in un centro di emergenza, soffrivamo tantissimo e dei due primi giorni non mi ricordo altro che gli occhi e le mani bagnati di lacrime. Allora ho sentito che stava crollando un mondo, che finiva qualcosa e non sapevo che cosa sarebbe iniziato. Lì le persone erano gentili, ma non avevano alcun sentimento per noi, era il loro lavoro e noi i loro assistiti.

Non sentivamo più l’affetto del nonno e della nonna.

Pian piano ci siamo abituati e le persone si sono interessate alla nostra situazione. Venivano, ci guardavano, ma noi rimanevamo lì. Ci chiedevano sempre: «Come state?», «Cosa fate?». Con difficoltà trovavamo le parole. Con difficoltà comunicavamo con le persone, come se non sapessimo parlare, eravamo arrabbiati e nessuno ci capiva.

Un giorno l’educatrice ci ha detto di vestirci bene perché forse sarebbe venuto qualcuno a prenderci. Non avevamo più speranza, eravamo già passati attraverso quel tipo di esperienza. Ci ha messi tutti e tre in una sala, c’era tanto silenzio e non sapevamo cosa sarebbe successo. A un certo punto è arrivata Moni, ci ha guardati con tenerezza, non ci ha chiesto niente e ha soltanto sorriso. Ci ha fatto una carezza sul volto e ci ha detto: «Andrà bene!». C’è stato qualcosa di diverso, non abbiamo subito un interrogatorio per vedere che avevamo anche noi i nostri difetti e così rifiutarci.

Moni ha proposto alla signora del Centro d’urgenza di lasciarci da lei a casa per due ore, ma ovviamente non era permesso. Ci ha guardati e ci ha promesso che ci avrebbe preso a casa sua. I giorni non passavano più, Moni non veniva e noi chiedevamo sempre di lei. Ci dicevano che la situazione sarebbe durata a lungo, che saremmo andati in Tribunale.

È arrivato il giorno in cui Moni ci ha presi solo due ore, di più non si poteva. Ci piaceva tutto, abbiamo sentito che stavamo andando verso una famiglia. Non volevo più che finisse, avevo un nuovo cammino aperto. Non avevo paura!

Ci sono voluti quattro mesi perché il Tribunale decidesse che potevamo stare legalmente da Moni. Mi ricordo quel giorno. Una signora giudice ci ha chiesto se noi volevamo stare lì, noi abbiamo sorriso e risposto di sì. Allora abbiamo creduto che saremmo partiti subito, ma la signora del Tribunale ci ha avvertiti che ci sarebbe voluto ancora tempo. Moni ci ha accarezzato il volto e ci ha detto: «Manca poco!». Ha detto qualcosa alla signora giudice e le ha chiesto di darci il decreto d’urgenza per andare via prima possibile.

E così è stato! Qui ho una casa e qui crescerò!

In futuro vorrei fare il meccanico, a casa di mio nonno aggiustavo io le ruote del carretto. Vorrei avere un lavoro, guadagnarmi il pane e cavarmela da solo. Vorrei anche crearmi una famiglia, offrire ai miei figli un’educazione e il diritto alla vita, vorrei farli felici. Desidero non fare gli errori che ha fatto la mamma da giovane, avrò cura dei miei figli e, per quanto difficile potrà essere, li terrò accanto a me.

La mamma la vedo ogni tanto, Moni è arrivata a pagarle il viaggio per venire da noi, ma lei si è dimenticata dei nostri compleanni, talvolta si dimentica di tutto. Moni dice di non giudicarla e così farò, anche se nel mio cuore mi dico che non voglio vederla più.

Grazie del tempo che hai dedicato per leggermi!